nel nome del nome
ISBN 9788899089092
Maria Lenti
Sulla poesia di Fiammetta Giugni
«Ogni sosta non è mai l’arrivo»: inizia da un verso per antonomasia, non esaustivo ma significativo della complessità espressiva di nel nome del nome di Fiammetta Giugni, la mia lettura.
La sosta, nella densità di questa raccolta, si individua nella lingua varia e catturante: l’italiano, va da sé, che tiene per mano (si fa per dire) termini emersi dal dialetto dell’infanzia e della crescita di Fiammetta Giugni o dei suoi studi (fin dalla grecità, dal latino - così un’intera lirica “tentata” e sicura nel metro classico -, dai poeti della tradizione, molto amati, mi sembra di capire, dal momento che la ritmica in ogni pagina rilascia musicalità, come nell’exergo-dedica «in piena obbedïenza all’intenzione»; o in «sacrosanto suono della rinuncia / (che non ha rima perfetta)»; o in «e ingenuamente indurti in tentazione»).
Questo plurilinguismo, mescidata la sua forza (si veda: sperfezionamenti, Summa, fario, sirma, «fragranza dei Tuoi unguenti»; e i “capi”: Praefatio, Expositio communis, Expositio privata, Cogitatio, ecc.), evidenzia esso stesso un grado di resa poetica, mentre contiene un viaggio fatto di soste, di arrivi, di tragitti, di corse, di interruzioni e di riprese. Mai di rinunce: vive la figura da tenere cara (il padre), emergono alcuni luoghi vissuti da ripercorrere, località (attorno a Sondrio) che abitano l’intero sentire della poetessa. Perché da questi, dal genitore, dalle radici cioè, vengono tratti i segni della vita che l’accoglie, i quali segni-simboli sono capaci di far aprire «l’organo lingua» a suonare «utopia».
Sarà il tempo, intromesso sua sponte nell’insinuarsi dentro le risonanze interiori di un paesaggio (anche umano, anche di persone e di cose quotidiane, di gesti felici dell’esistenza), a connotare rimanenze e sopravanzante desiderio, a dare il là di un pensiero su di esso. Sarà una «beata sospensione di ogni intento» a dare sostanza a ultrasuoni sottili, fini come i fili d’aria che sfiorano e passano.
Allora sarà un domandarsi, sotto traccia, che cosa possa restare. Anzi, che cosa sia restato e sia da fermare del trascorso; come e dove sia un arrivo; se l’andare abbia un fine; se l’orfanità sia un punto di non ritorno o un cominciamento.
Sotto traccia, questa interrogazione.
Come è della poesia che non comunica esperienza feriale ma avanza passi sempre più irraggiungibili oltre la narrazione e il racconto e sempre meno fermi sulla risposta, con in più una sorta di leggerezza per il “non perduto” e di felice sconcerto per così essere in una atmosfera di sospensione. Come è della poesia che guarda a ultraspazi altissimi, mentre chiede il perché del silenzio e della risposta che non giunge; mentre constata in modo asciutto che «ogni sosta non è mai l’arrivo».